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Luigi Ontani

Nome:
Luigi Ontani

Nato a Bologna nel 1943, Luigi Ontani non ha frequentato nessuna Accademia di Belle Arti, ma solo un corso di nudo. Definisce la sua arte «basata sul dilettantismo, la sorpresa, l’imprevisto».
Il suo incontro con l’arte avviene a Torino, dove va a fare il soldato nel 1963 e vede le mostre della galleria di Luciano Pistoi poi, nel 1965 realizza gli Oggetti pleonastici, calchi in scagliola di barattoli di borotalco, scatole di uova e cioccolatini. Li espone e li indossa nel 1967. Intanto è entrato giovanissimo, attorno ai 14 anni, alla Maccaferri, un’industria locale che fabbrica fil di ferro e che ha inventato le gabbie anti-frana. Ci resta tredici anni come impiegato. “La Maccaferri organizzò una mostra, una forma di sponsorizzazione. Nella giuria c’erano Francesco Arcangeli, Ruggeri, un giornalista colto del Resto del Carlino ed Emiliani. Videro loro le prime cose che avevo realizzato. Nel 1970 mi sono licenziato e l’amministratore della Maccaferri mi diede più della liquidazione”. Ha 27 anni e arriva a Roma. La prima casa l’affitta con Chia. Intanto Renato Barilli, il critico che l’ha sempre seguito, sin dagli esordi bolognesi, lo presenta in una mostra alla Galleria San Fedele di Milano. “Negli anni Sessanta e Settanta l’aspetto letterario dell’arte sembrava squalificato, ma a me invece interessava molto”. L’eccentricità di Ontani si misura nelle sue messe in scena, nelle fotografie che ha realizzato già negli anni bolognesi e che lo ritraggono nei panni del Bacchino, o in quelli di un giovane fauno agreste. Si fa fotografare nei boschi del suo paese, nudo o ricoperto da grappoli d’uva, pampini o foglie della pianta da cui prende nome la sua famiglia. L’elemento narcisistico appare decisivo, un narcisismo di vita e non di morte. Infatti, a differenza degli artisti che praticano in quegli anni la body art, c’è nei suoi ritratti qualcosa di delicato, leggero, giocoso, e anche di infantilmente perverso» (Marco Belpoliti).
Nel 2013, in un'intervista, dice: «Il mio impegno è trovare un’alterità dell’arte. Ho voglia di fantasia e non di farmi condizionare dalla quotidianità» (ad Alain Elkann).
Ama gli abiti dai colori sgargianti: fucsia, verde pallido, blu-viola, grigio-ghiaccio. «Mi piacciono i colori, e non potendo trasformarmi in un camaleonte mi vesto di stoffe acquistate in India e in Thailandia dove vivono i miei sarti preferiti. Io stesso vorrei essere una tavolozza di colori».
Vive a Roma, in una casa che fu studio di Antonio Canova.

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